La squadra: I Rams

Parlavamo di squadra pochi giorni fa e la squadra si sta muovendo per sostenere il nostro amico Alfred , cosi come da anni è stato soprannominato Pier Francesco Raffaelli , che  come sapete è incappato nelle maglie degli strozzini ed è stato abbandonato dallo stato al quale si era rivolto con fiducia, denunciando questo criminali ed ottenendone la condanna definitiva ad oltre quattro anni.Dopo essere stato in varie trasmissioni televisive e radiofoniche, dopo aver raccontato a testate importanti la sua storia che veniva puntualmente pubblicata, si è visto abbandonato a se stesso ed alla sua ingenuità. La squadra non lo ha abbandonato. Ieri dopo anni è tornato a dormire il una casa anche se per settembre dovremo trovargli un’altra sistemazione, ora sta cercando

 un lavoro che possa ridare dignità alla sua vita. Si è sempre occupato di trasporti, lavorava per UPS, ma ha anche fatto l’autista per diversi anni per altri datori di lavoro, anche se ovviamente oggi gli basterebbe qualsiasi lavoro dignitoso. Ha già mandato numerosi curriculum ma da mesi aspetta risposta. Vi invito ad attivarvi per riuscire a trovare quanto prima una occupazione al   nostro sfortunato compagno, dimostrandogli il valore della parola squadra. Pubblichiamo di seguito l’articolo che il corriere ha fatto sulla sua storia mentre se volete vedere le trasmissioni televisive le trovate sulla sua pagina di facebook:  https://www.facebook.com/profile.php?id=100008156348314

«Ho fatto condannare l’usuraio  E Milano mi ha abbandonato» L’imprenditore lavorava per Ups: da sette anni aspetta i fondi antiusura. «Da Stato e banche solo porte chiuse» di Cesare Giuzzi

Non può avere un prestito. Neppure un conto corrente. Le banche sono state le prime a chiudergli le porte. Perché anche se hai denunciato l’usuraio, se lo hai fatto condannare (4 anni e 6 mesi) fino al terzo grado di giudizio, per gli istituti di credito resti un «cattivo pagatore». Colpa degli assegni che lo stesso usuraio — Claudio Testa, 47 anni— aveva mandato in protesto. Pier Francesco Raffaelli, 45 anni, ex imprenditore che lavorava per conto del colosso delle spedizioni Ups di via Mecenate, quella mattina di gennaio del 2007 quando s’è presentato negli uffici della squadra mobile di via Fatebenefratelli, non poteva immaginare che sette anni dopo quel gesto di coraggio e disperazione sarebbe diventato un incubo, capace di trascinarlo in un buco nero che s’è portato via lavoro, casa e persino la sua dignità. Perché Raffaelli non ha un precedente penale, non ha mai superato il sottile confine tra legge e illegalità, non ha mai approfittato di quei soldi ricevuti in prestito per girare su una Bentley o portare valige di soldi in Svizzera. Ma soprattutto perché uscito alle due di notte dalla Questura («Sono stati eccezionali, mi dissero che la mia era solo la quarta denuncia per usura che trattavano») i poliziotti gli dissero di presentarsi in Prefettura per fare richiesta dei fondi messi a disposizione dal Viminale per le vittime di usura (Legge 108/96 e 44/99), e così ha fatto solo che tra burocrazia e rinvii dei risarcimenti promessi non ha ancora visto un euro. Nel frattempo ha dovuto lasciare la casa, ha perso il lavoro e ha dovuto vendere il furgone e tutti i mezzi per evitare che l’impresa fallisse. In caso di fallimento, infatti, non avrebbe potuto beneficiare del fondo di solidarietà. «Mi comunicarono che mi avrebbero anticipato 13 mila euro, la metà sarebbe arrivata successivamente — racconta — . Era il 2007. Poi mi dissero che il processo era ancora aperto, nonostante le condanne di primo grado e d’appello. Ogni anno ho dovuto ripresentare la domanda, ma quei soldi non sono mai arrivati».

La storia di Raffaelli è quasi banale. Si occupava di trasporti internazionali di auto. A un certo punto i suoi tre soci decisero di creare una nuova azienda. Gli chiesero il 20% del fatturato. «Spesso mi chiedevano trasporti gratuiti. Così non ho accettato». Nel 2004 è tornato in Ups dove aveva già lavorato come padroncino. Insieme a un socio, L. L., decidono di creare una piccola società per occuparsi di trasporti particolari, urgenti, per conto di Ups. Ma una fattura da 20 mila euro per la quale ancora attendeva il pagamento viene bloccata dagli ex soci. L’azienda rischia il tracollo. Un giorno, nel cortile di via Mecenate, si presenta Claudio Testa. Anche lui lavora per Ups, dice che «in Raffaelli rivede i suoi inizi», si offre, senza che nessuno glielo chieda, di dargli 10 mila euro. In meno di tre anni Raffaelli paga 70 mila euro, il prestito complessivo era di 17.500. Poi quando non ci sono più soldi, l’usuraio inizia a minacciare il socio: «Guarda che so chi sei, dove abiti, quanti figli hai, la moglie, sul citofono c’è il tuo nome. Prima o poi te li trovi sotto casa». L’usuraio sosteneva d’essere solo un intermediario di una banda di camorristi legata a una sala bingo di Lodi.

Le indagini coordinate dal pm Frank Di Maio hanno però accertato che gli assegni erano stati incassati da Testa, sui suoi conti. «Dopo la denuncia, fino a che il mio legale non chiese il pignoramento dei mezzi, Testa ha continuato a lavorare indisturbato con Ups — racconta la vittima —. A me, nel frattempo è stata fatta terra bruciata. Non ho più potuto lavorare nel campo delle spedizioni. C’erano altri padroncini sotto usura, ma nessuno ha denunciato». Il tribunale ha riconosciuto a Raffaelli e al socio un risarcimento di 40 e 30 mila euro. «Soldi mai arrivati, nel frattempo i conti di Testa sono stati svuotati».

L’unico aiuto all’imprenditore è arrivato dal fondo voluto dal cardinal Martini. «Rischiavo di finire come un clochard. Ora dormo in un posto letto in un monolocale con altre tre persone, faccio tutti i lavoretti che trovo. Ma lo Stato, le istituzioni mi hanno lasciato solo. Sembra che il delinquente sia io». Raffaelli ha chiesto aiuto alla Regione per i fondi contro l’usura: «Non sapevano neppure quante denunce ci sono in Lombardia». Ora spera in un sostegno dal Comune: «I servizi sociali trattano casi di disagio, droghe, alcol ma non vittime d’usura. Non cerco la carità, ma un aiuto per ricominciare. Basterebbe un prestito, almeno un’assistenza legale. Dicono che nessuno denuncia: io ho avuto giustizia, poliziotti e magistrati straordinari. Ma intorno solo silenzio».