La nuova grande squadra: gli arbitri

Una delle figure fondamentali di tutti gli sport agonistici è l’arbitro. Spesso,è stato a torto considerata un attività di ripiego e raramente gli arbitri hanno cercato di far capire l’importanza del loro ruolo, anzi pur di crescere di numero hanno accettato di tutto, senza rendersi conto che per fare l’arbitro non basta la sola conoscenza dei regolamenti o delle meccaniche ma occorre personalità, una grande capacità di giudizio e una totale abnegazione a favore di chi lo sport vuole praticarlo. Nel football la cosa è stata ancora più difficile in quanto alle difficoltà dell’arbitraggio in genere si aggiungeva quella della meccaniche complesse e inoltre la quasi totale ignoranza da parte dei giocatori delle stesse. Ho assistito a discussioni assurde su applicazioni di regole mai conosciute da parte di coach e dei praticanti, ho visto gente cercare tutte le soluzioni possibili, meno quella giusta, per riprendere il gioco dopo una Safty, ho visto porre domande imbarazzanti agli arbitri quale quella del ricevitore che domanda all’arbitro di linea se la sua posizione è corretta, come se l’arbitro fosse a conoscenza della formazione che la sua squadra vorrebbe giocare, mentre basterebbe guardare la posizione del braccio per capire dove si si è posizionati in campo. Insomma un lavoro ingrato che da tempo si è cercato di incentivare con gettoni di presenza. La scelta fatta ed accettata dai nostri arbitri per la prima volta quest’anno è andata nella giusta direzione. Già nei lontani anni 80 non riuscivo a capire perché in uno sport in cui i ragazzi pagavano per giocare, gli arbitri dovevano venire pagati. Giustamente qualcuno mi rispondeva perché il giocatore si diverte e l’arbitro no. Questa logica è stata quasi universalmente accettata. Noi abbiamo cercato e credo di esserci riusciti grazie alla buona volontà di tutti, salvo poche rare eccezioni, di fare in modo che anche gli arbitri si divertissero, e , cosa incredibile, ci siamo riusciti. Questo ha fatto si che non solo imparassero molto in fretta, ma anche che alla classe arbitrale accedessero persone di grandi capacità. Una frase che mi disse Red Cashion durante il nostro incontro e che mi è rimasta dentro, fu come scelse di fare l’arbitro: “ Capii che ero troppo bravo per limitare le mie capacità a quelle di giocatore”. Capite? Modificò completamente il modo di pensare che in parte aveva condizionato anche me. Non faceva l’arbitro come ripiego perché non poteva giocare, ma sebbene fosse un buon giocatore di college, scelse di fare l’arbitro ambendo a traguardi più alti. Lo stupore e l’ammirazione fu enorme quando mi disse che nel grande circo del football pro gli unici che non possono essere professionisti sono gli arbitri. Grande Red! Oggi è diventato il loro numero uno, assistente supervisore, colui che da i giudizi ed i consigli agli officials che scendono in campo ai play-off o al Superbowl. Per questo quando l’altro giorno ho letto i suo commenti dettagliati che mi ha spedito per darli agli arbitri scesi in campo per il nostro 31 superbowl in quel di Grugliasco ero emozionato e contento per loro. Quello che un arbitro negli USA ottiene alla fine della carriera i nostri ragazzi potevano già vantarlo. Oltretutto il suo giudizio era altamente positivo, grazie sicuramente anche alla sua benevolenza, ma giustamente, non nascondeva suggerimenti ed osservazioni critiche. Si credo che in un solo anno dopo il l’incontro con lui, e l’accoglimento dei suoi suggerimenti, abbiamo oggi una buona base di arbitri dalla quale ripartire. Grazie alla collaborazione di tutti, Giovanni Frisiani in testa, ma a Dario e a Simona professionali e carismatici istruttori e a tanti che rinunciando alla carriera di giocatori hanno capito che scegliendo di prepararsi per far giocare gli altri in sicurezza non aveva ripiegato ma anzi avevano scelto di permetter ad altri di potersi avvicinare al football, grande sport, ma troppo poco per la loro generosità.