2. Non c’è nulla di simile al fallimento, esistono solo risultati

A partire dal 1800 iniziano i primi primordiali scienziati a fare esperimenti sull’elettricità, poi successivamente sui diversi modi per impiegarla a livello commerciale, ad esempio con strumenti per la comunicazione a distanza o per l’illuminazione. La lampadina è una invenzione progressiva che è stata perfezionata lungo l’arco di un secolo, ma è diventata davvero famosa e usata ampiamente solo grazie a Thomas Edison, che insoddisfatto di come funzionavano fino ad ora i dispositivi di illuminazione con energia elettrica cercò con centinaia e centinaia di esperimenti diversi nel tentativo di perfezionare l’invenzione. E’ piuttosto famoso un aneddoto che dimostra la sua insistenza nelle idee in cui credeva. Dopo che fece e documentò 9999 esprimenti per perfezionare la lampadina senza successo, un suo stretto collaboratore gli chiese: “Hai forse intenzione di andare incontro a 10 000 fallimenti?” E lui rispose “Fallimenti?Quali fallimenti? Io per ora ho semplicemente scoperto 9999 modi diversi per non inventare la lampadina”. L’unico vantaggio, l’unica risorsa di cui disponeva Edison dopo ciascun esperimento fallito era ovviamente l’esperienza, e non sarebbe senza dubbio arrivato al risultato che voleva se non avesse testardamente continuato a provare e riprovare. Tutte le persone di successo hanno la capacità di focalizzare la propria attenzione su ciò che in una situazione è possibile e sui risultati che possono derivarne, senza curarsi minimamente degli inconvenienti sulla propria strada. Il punto è la reazione: se a una situazione negativa subentra la passività e l’arrendevolezza, quella è e rimane una situazione negativa; se la contrario si riesce a incassare il colpo, imparare la dura lezione e soprattutto a guardare a nuove possibilità allora siamo come Edison, e si è scoperto un altro modo di non-agire. Quindi, prima di tutto, eliminare il pessimismo: chi crede nel fallimento non può che avere rari momenti di successo, mentre in ogni caso riesce a cavalcare l’onda chi non attribuisce aspetti solo totalmente negativi alle cose che non funzionano. In secondo luogo è fondamentale non lasciare le motivazioni dello sbaglio solo al di fuori di noi stessi. E’ pericolosissima la sindrome del “vorrei ma non posso”, per cui si viene limitati da fattori immaginari esterni a noi stessi per giustificare il fatto che abbiamo in realtà delle responsabilità ben precise che non abbiamo il coraggio di ammettere. Nel football americano è veramente facilissimo vedere liti a bordo campo perché si viene corretti dal coach e tentando di dare giustificazione del proprio errore si è poi portati in una situazione analoga a commetterlo di nuovo, poiché tendiamo a concentrarci di più su ciò che ci limita esternamente che non internamente. E’ divertente notare come poi di fronte ai video delle partite si rimanga sconcertati da quanto palesi ci sembrino certi errori a cui non si era minimamente pensato nella foga e velocità del durante, ed è per questo che la visione dei propri video è così educativa a livello di esperienza di gioco. La cosa più difficile che ho trovato nel football americano, giocando molte partite, è il cercare di tenere il cervello attaccato durante l’azione, cosa che, soprattutto all’inizio quando ancora non sono chiare la maggior parte delle dinamiche, non è facile perché si è impegnati a concentrarsi su poche cose e a scordarsi le buone regole che i nostri allenatori ci insegnano. Il problema peggiore è però anche che staccando il cervello non attiviamo il meccanismo di accumulo esperienza che se svolto a livello attivo, cioè pensando “dove ho sbagliato”, “come posso correggere”, “a chi posso chiedere”, rende l’apprendimento mille volte più veloce che non imparando per somatizzazione, ripetendo e ripetendo un movimento fino a quando per caso vediamo che funziona meglio e quindi lo applichiamo. Quando poi si cominciano a vedere i risultati buoni di una certa strategia che abbiamo scelto allora sì che ci si sente soddisfatti, e tutti i problemi che ci si erano posti prima sembrano davvero un gioco. E, forse non ci avete mai pensato, tutto questo è stato ottenuto solo e unicamente grazie a una grande serie di fallimenti: ecco un buon motivo quindi per non considerarli un blocco insuperabile ma solo un risultato errato sul quale si può lavorare.
Il Pensiero di HP
di Dario D’Ambrosio